Si svolgerà al MOCA (Museo d’Arte Contemporanea di Los Angeles) "Art in the streets”, annunciata come la più grande mostra sulla street art mai realizzata da un museo americano.
Partendo dalle origini degli anni '70, e arrivando ad oggi, la mostra presenta una panoramica dell'evoluzione globale del fenomeno. Ci si concentra maggiormente su città come NY, LA, San Francisco, Londra, San Paolo, tra gli artisti presenti con le loro opere ci sono Fab 5 Freddy (New York), Lee Quiñones (New York), Futura (New York), Margaret Kilgallen (San Francisco), Swoon (New York), Shepard Fairey (Los Angeles), Os Gemeos (San Paolo), e JR (Parigi). Saranno presenti disegni, sculture, installazioni interattive, foto, video; una sezione è dedicata alla scena artistica della città di Los Angeles (ai movimenti "cholo graffiti" e "Dogtown skateboard culture"), e viene dato spazio anche ai fotografi e ai filmakers che si sono occupati di documentare il fenomeno (tra gli altri: Martha Cooper, Henry Chalfant, James Prigoff, Steve Grody, Estevan Oriol, Ed Templeton, Larry Clark, Terry Richardson, e Spike Jonze).
Dal 17 aprile all’8 agosto al MOCA; dall’8 marzo al 30 luglio del 2012 al museo di Brooklin.
More info:
moca.org
giovedì 24 marzo 2011
mercoledì 23 marzo 2011
Interviewing BROS
Mi parli un po’ della tua formazione? Come hai iniziato a dipingere? Com’era la scena milanese a quei tempi?
Ho iniziato nel 1996, avevo 15 anni e frequentavo il secondo anno di liceo artistico, avevo un amico alle medie che firmava ONCE della crew DMC una delle più attive in città…con un amico del liceo che aveva notato anche lui questa espressione ancora non troppo diffusa e praticata decidemmo dopo la scuola di andare a realiz are il nostro primo graffito….è venuto male ma ci piaceva troppo non rispettare nessuna regola di composizione che solitamente al liceo artistico ti chiedono di tener conto, c’ era quel senso di libertà che non avevamo mai provato prima disegnando. Li è iniziato tutto.
Al tempo i writer più famosi dovevi cercarli tu, e capire chi fossero, non era spiegato niente e facevi anche difficoltà a trovare le bombolette…nomi come DUMBO; RAE; SKY; CRAZE; NOCE erano già delle star nell’ underground.
Quali sono le tue fonti, spunti, modelli; lo studio della storia dell’arte ha avuto importanza sulla tua opera ed evoluzione?
Arrivo da una formazione accademica per stravolgerla a mio piacimento, inconsapevolmente dipingevo in modo che il mio dipinto a parete avesse una forma, fosse bilanciato, avesse la giusta dimensione per la visione ecc. tutte cose che successivamente ho legato alla mia formazione scolastica…diciamo che Giotto era lontano almeno 500 anni dai miei disegni, ma è come se fosse dentro il dipinto inevitabilmente.
Mi hai parlato di Rotella, “primo ad intervenire in strada con uno
spirito simile all' arte di strada come la intendiamo noi oggi”, puoi spiegarmi meglio?
spirito simile all' arte di strada come la intendiamo noi oggi”, puoi spiegarmi meglio?
Rotella o Diego Rivera, sono persone che hanno capito la potenza di quello che viene dalla realtà per rielaborarlo e restituirlo al pubblico, come cerco di fare da anni e con me qualche mio “collega- vandalo”.
Perché hai scelto il nome Bros? Significa qualcosa in particolare?
No mi piacevano un sacco le lettere, si potevano scrivere sia in modo “morbido”, che più “ rigido” era breve e suonava bene….BROS! perfetta..
Quali generi di opere hai realizzato agli inizi?
Lettere, ancora esisteva solo quella, a scuola dipingevo copia dal vero e sui banchi, muri, treni…scrivevo il mio nome in ogni forma colore e grandezza…all’ intervallo guardavamo le foto ed eravamo gasati più che mai!
Quale è la tua idea sul vandalismo?
Una forma di espressione, a volte una moda di ragazzini borghesi, una volta una ragione di vita…mai in Italia.
Come ti rapporti con l'aspetto illegale del lavorare in strada?
Dipingo illegalmente perché mi piace quella sensazione e perché parto con il ragionamento di appropriarmi di una superficie come scelta di un espressione artistica ben connotata. A volte dipingo in modo autorizzato (di rado), ma ciò non toglie che se sei bravo riesci comunque ad appropriarti di tutto quello che c’è intorno, è una sfida in ogni caso..
Hai subito arresti o denunce?
Si, qualche volta…ho dipinto tanto e quando aumenti il numero delle uscite anche il numero dei fermi aumenta inevitabilmente, sono due dati che crescono in modo proporzionale…
Li ho presi come insegnamenti, a volte ho conosciuto dei poliziotti simpatici e in più quando tornavo a casa di mattina mi dicevo che dovevo essere più scaltro.
Mi parli del processo che hai subito ultimamente?
Il processo è stata propaganda politica di una giunta comunale che ha bisogno di parlare di problemi, se vogliamo chiamarlo problema (a mio avviso una risorsa), futili.
Finito come è iniziato,cioè in una bolla di sapone.
Un caso mediatico di proporzioni bibliche (anche il New York Times ne ha parlato), che ha portato ad una discussione senza risposta.
Il giudice nella relazione finale si è dilungato troppo ipotizzando un altro processo, nel senso che non gli competeva spiegare che in caso sarebbe successo questo e quello sarebbe andata in modo differente…questo non gli competeva, doveva scrivere quello che era successo e basta, credo che sia stato sollecitato da qualcuno di rilevante dato che non mi spiego il motivo di questo dilungarsi nell’ esplicare la sentenza.
Forse ancora una volta “Davide” stava vincendo contro Golia, soprattutto sull’ opinione pubblica.
Cosa vuoi comunicare con le tue opere?
Una domanda un pò troppo aperta, potremo stare qua una vita a spiegare tutto…diciamo che voglio comunicare, questo è l’ importante, un'arte fatta per il popolo che guarda che la subisce e che a volte gli tocca stare a guardare e dover pensare….
Qual è la reazione degli spettatori alle tue opere?
Sbigottiti, sia in positivo che in negativo…ma sbigottiti; indifferenti sarebbe orribile, o vorrebbe dire aver fallito!
Quali sono altri artisti che ammiri, con cui hai lavorato o ti piacerebbe lavorare?
Alcuni sono morti tanto tempo fa, sono affascinato da qualsiasi movimento artistico che usa questa espressione per portare avanti un pensiero, che col passare del tempo diventa una ragione di vita.
Quando incontro una persona che ha quella luce negli occhi scatta qualcosa e di solito si lavora insieme se lui/lei crede la stessa cosa di me
Dove ti piacerebbe esporre?
Nei bagni del Moma, o nel deserto del Sahara…
Mi parli del restauro della tua opera Bloodiamond?
Un opera formidabile, fatta di una lunga riflessione, presentata a Milano nel 2008, con tanto di celebrazione in una mostra, in un catalogo Skira e su vari articoli e giornali di settore e non.
Il restauro nasce da sempre su opere che hanno un valore artistico, da questo ragionamento nasce l’ idea di restaurare uno dei miei disegni più significativi milanesi con la collaborazione di due restauratrici professioniste.Alla domanda se tutto questo è arte o no…si aggiunge sul tavolo della discussione/confronto un opera del genere..direi un interessante passo in avanti nel dialogo.
Come vedi il futuro della street art?
Magari non si chiamerà più cosi, ma in realtà una forma di espressione artistica condivisa dal popolo esiste da sempre, vedi Egizi, Cinesi, Greci, Romani, Rinascimento ecc.
Sicuramente più tempo passa più ci sarà coscienza in relazione alla street art e quindi più spazi dedicati; magari le istituzioni permetteranno di proporre arte di strada in strada e verrà celebrata come arte e non come decorazione.
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venerdì 18 marzo 2011
Focus on : Bros
Bros (Daniele Nicolosi) inizia a scrivere sui muri nel 1996, insieme ad un compagno di scuola writer, affascinato dai murales milanesi; fino ai diciotto anni continua con i tipici pezzi composti da lettere. Trasferitosi a Milano dall’hinterland, si iscrive alla Facoltà di Disegno Industriale al Politecnico, e inizia a frequentare il “giro” di writer milanesi, tra cui l’amico Cristian Sonda. Nel 2003, dalla composizione di lettere, passa al disegno, cosa al tempo piuttosto insolita nel panorama milanese: il primo personaggio è su un tram, uno dei suoi omini, “soggetti composti da figure solide, geometriche, assemblate. Utilizzo colori accesi per non essere annullato dagli altri segni presenti sul tessuto urbano. I protagonisti dei disegni vengono animati da due occhi (lo specchio dell’anima), stilizzati con due semplici linee nere. Cerco di portare in strada provocazione ed ironia, affrontando temi di interesse comune” (da "Bros20+20"). Gli omini, realizzati spesso in scala monumentale, sono identificabili tramite nomi simbolici posti a fianco del disegno (Rambo Rombo, Davidino Krestino…), e ciascuno si caratterizza tramite dettagli diversi (omini-case, omini-televisore, omini-pennello, alcuni hanno la testa triangolare o quadrata). Successivamente, da una collaborazione con l’amico Sonda, nascono i “Mad rebus”, dipinti preferibilmente vicino alle università, costruiti come dei veri rebus, con l’indicazione del numero delle parole e del numero di lettere: è un buon modo per dialogare con la città, permettendo alle persone di interagire pienamente con l’opera, divenendo così giocatori attivi. Inoltre, spesso i lavori di Bros iniziano ad assumere un elemento di critica sociale, trattando temi politici, economici, sociali, ecologici tratti dalla cronaca, nel desiderio vivo di comunicare, senza perdere la caratteristica ironia, con tutti, e di far riflettere. Contemporaneamente, vengono sviluppate immagini ripetute più volte, che invadono letteralmente i muri e opere scultoree, sorte di totem in legno colorato, tridimensionali: il primo è mostrato, non autorizzato, nel 2005, al Salone del Mobile, poi al MiArt e alla Triennale. La sua prima personale “No street” si tiene nel 2004, organizzata da lui stesso in uno spazio affittato, e presenta lavori realizzati con materiali riciclati; nel 2006 inizia un interesse più ampio verso la sua opera, e l'anno successivo Bros compie uno degli “atti” di cui si è maggiormente discusso: si auto-intitola la “via Bros, artista contemporaneo”, affiggendo targhe, uguali a quelle reali, in giro per Milano: un’operazione fortemente ludica ed originale, tramite cui riflettere sulla comunicazione e la promozione culturale. Sempre nello stesso anno, inizia, nelle strade di Milano, la serie di “Cibo per gli occhi”: torte, ortaggi, frutta, eccetera, dipinte con colori puri e dimensioni colossali, con tanto di simbolico cartellino del prezzo, un’altra operazione con messaggio ironico e dissacrante, offerta come regalo alla città, gratuitamente. Il 2007 è anche l’anno della “consacrazione” massima per i writer-artisti milanesi, tra cui Bros, nella mostra “Street art sweet art” al PAC di Milano, seppur tra grandissime polemiche. Da questo momento Bros sarà uno degli artisti più in vista, ma anche uno dei maggior bersagli della critica pubblica, indicato come il vandalo per eccellenza, fino ad arrivare al famoso processo del 2010. Nel frattempo però, Bros è invitato a partecipare alla mostra di Palazzo Reale “Arte Italiana 1968-2007” , unico tra gli street artist insieme ad Ozmo; realizza opere su muri, in città, con targa (come quelle del museo), a certificare l’artisticità delle sue opere. Continuano nel frattempo le misure repressive da parte del Comune, che si muove verso una “tolleranza zero” nei confronti dei writer; Bros e Ivan rispondono con una performance pubblica di “Body art”, “Lo hanno fatto a noi”: si dipingono a vicenda il corpo trasformandolo in un muro di mattoni e in scritte di graffito (lo slogan: “Se lo facessero a te?”, “Me lo lascerei fare!”. Negli anni successivi, nonostante le difficoltà sul piano legale, Bros continua ad esporre: nel 2008, al Superstudio più presenta la personale “20e20, Bros si mostra”, con venti opere di grandi dimensioni, realizzate tra il 2005 e il 2008, su diversi supporti (tela, pvc, legno), che trattano temi storici, mitologici e religiosi, rielaborando e reinterpretando alcuni avvenimenti che hanno caratterizzato la storia dell’umanità, come l’11 settembre, lo tsunami, il Big bang, Hiroshima e Nagasaki, il muro di Berlino, Apollo 13, Auschwitz, Chernobyl, il Diluvio Universale: un modo per riflettere più a fondo su temi complessi, che nel contesto urbano talvolta non è possibile indagare. Nel 2011 inaugura invece la mostra "Squaraus. Colore dal corpo".
More info:
Oggi Bros rimane uno tra i più interessanti street artist nel panorama internazionale, e punto di riferimento per le nuove generazioni, continuando a comunicare con la città tramite la sua arte pubblica, fatta di immagini spontanee, realizzate con colori puri e campiture piatte e un linguaggio istintivo, diretto e alla portata di tutti.
More info:
Bros+20e20, Skira, Milano, 2008
Next: esclusiva intervista a Bros!
mercoledì 16 marzo 2011
Keith Haring
Breve biografia
Keith Haring nasce a Reading in Pennsylvania nel 1958; a Kuntztown compie i primi studi nel campo dell’arte, conseguendo il diploma nel 1976 e frequentando successivamente per un anno la Ivy School of Professional Art di Pittsburgh. Qui allestisce anche la sua prima mostra di disegni e decide di dedicarsi definitivamente all’arte, studiando da autodidatta artisti come Klee, Tobey, Picasso (della cui sfrenata libertà formale si avvale), Léger (di cui riprende il segno nero di contorno delle figure tracciato su aree di colore), Dubuffet, Matisse (colpito come lui dai colori, e di cui reinterpreta i papiers découpés), Pollock (di cui rielabora l’istintualità del gesto), Warhol e Lichtenstein (di cui rivive l’esperienza Pop); è molto importante anche la visita ad alcune retrospettive, tra cui quella di Rothko e Clifford Still, e successivamente una sorta di competizione con artisti a lui contemporanei quali Stella e Alechinsky. Le sue influenze si possono ricercare, però, anche in altri ambiti: “arte egizia/ geroglifici/ pittogrammi/ simbolismo. Parole come figure/ immagini”, “immagini calligrafiche, forme geroglifiche, strutture primarie che sono comuni a tutti i popoli di tutti i tempi e, perciò, interessanti anche per noi".
Nel 1978 si reca a New York per seguire i corsi alla School of Visual Art; nella Grande Mela Haring viene a contatto con il writing e inizia, così, a partire dal 1980, a riempire con i suoi disegni in gesso bianco i riquadri coperti da un foglio nero, in attesa di ospitare i manifesti pubblicitari nella metropolitana, primi esempi di opere accostabili alla street art.
Nel 1980 partecipa al “Times Square Show” insieme ad altri graffitisti, ma contemporaneamente rimane legato ad un concetto più tradizionale di arte.
Haring e l'arte
A proposito della sua vicinanza al mondo dei graffiti, lo stesso Haring dichiara: “I graffitisti di periferia mi hanno influenzato con l’idea di un grafismo forte, il desiderio di uscire dai luoghi culturali per intervenire sul marciapiede” e “I graffiti erano la cosa più meravigliosa che avessi mai visto […] Questi ragazzi, che erano ovviamente molto giovani e venivano dalla strada, possedevano un’incredibile maestria che mi lasciava senza fiato, al punto che a volte non salivo nemmeno sul primo treno che passava. Restavo seduto e aspettavo di vedere cosa c’era sul treno successivo”. Altre caratteristiche del suo lavoro che lo avvicinano alla filosofia della street art si possono ritrovare nell’attenzione verso il contesto in cui dipinge e nell’importanza affidata al percorso evolutivo.
Con uno sguardo ampio ed aperto alle diverse sperimentazioni, Haring non viene solo affascinato dai graffiti, ma indaga anche, oltre alla pittura e al supporto cartaceo, con diversi tipi di inchiostri e carta, differenti tecniche e materiali, come tele viniliche, carta catramata, metalli, oggetti di recupero, pelli, terracotta, sculture; dipinge con un pennello in entrambe le mani, direttamente con le mani, sul corpo umano (ad esempio su Grace Jones nel 1984 a New York, fotografata da Robert Mapplethorpe). Inoltre sperimenta anche nell’ambito della fotografia e del video.
Nel 1981 entra nella galleria di Tony Shafrazy, che gli permetterà di essere riconosciuto come artista a livello internazionale: nel 1982 è invitato a Documenta 7 a Kassel, l’anno successivo alla Biennale del Whitney Museum di New York e di San Paolo in Brasile, nel 1984 alla Biennale di Venezia. Inoltre è chiamato per diverse commissioni in giro per l’Europa: murali, spesso di messaggio sociale, vetrine, decorazioni (si possono ricordare, a titolo d’esempio in ambiti completamente diversi: la decorazione del negozio di Fiorucci a Milano nel 1983, il murale “Tuttomondo” sulle pareti esterne del convento di Sant’Antonio a Pisa, la decorazione di una parte del muro di Berlino con bambini che si tengono per mano); inoltre tiene laboratori e workshop per bambini in scuole e musei di America ed Europa. Il suo stile in questi anni si evolve, ma rimane legato ad alcuni concetti essenziali: svuotare, schematizzare, ridurre al contorno le figure, arricchirle al loro interno da segni grafici fortemente decorativi, che mirano a riempire i vuoti. Anche la componente cromatica viene trattata con lo stesso intento di riduzione: poche combinazioni di campiture di colori puri accostati, mai mescolati. Tra i soggetti indagati, sovrapposti e incrociati tra loro in grovigli inestricabili, spesso, accanto a figure umane, compaiono temi d’attualità (la minaccia dell’annientamento nucleare, l’oscenità dell’apartheid), immagini di fantascienza, la tecnologia (televisori, computer), in forma negativa di mostri e il tema della morte e dell’aids, in seguito alla scomparsa o alla malattia di numerosi suoi amici, e poi alla sua, diagnosticatagli nel 1988 (in questo ambito, nel 1988, fonda la Keith Haring Foundation per “fornire fondi e immagini alle organizzazioni per la lotta contro l’AIDS e in favore dell’infanzia e far conoscere a un pubblico più ampio le opere di Haring”). Tramite la sua arte, egli esprime le sue paure e cerca di affrontarle, spingendo però, contemporaneamente, anche gli altri a riflettere su temi importanti. Altri soggetti, più divertenti e spensierati sono, invece, gli animali, i temi giocosi (il bambino radiante e il cane che gattonano), personaggi tratti dai fumetti (ad esempio la faccia di Topolino), figure umane che rappresentano ballerini di break dance ed electric boogie nelle loro mosse più famose.
Pop Shop
Un mezzo efficace per la diffusione delle sue opere è la creazione di negozi nei quali è possibile comprare gadget (magliette, spille, giochi, magneti, poster con i suoi lavori) e vederlo personalmente all’opera, i cosiddetti “Pop shop”: il primo viene aperto a New York nel 1986, il secondo a Tokio nel 1988. Questi spazi, estensioni del suo lavoro, permettono alla gente di entrare maggiormente in contatto con la sua arte (potendola anche acquistare in riproduzioni economiche), e a lui di avvicinare il pubblico, a cui il suo operato in primo luogo si rivolge. Le sue opere hanno ottenuto un successo internazionale poiché Haring, nonostante la fama e la notorietà, cercava sempre di realizzare opere per la gente, in grado di attirare la loro attenzione e di favorirne la lettura, da un livello più semplice e superficiale, con figure simili a fumetti, fino ad uno più profondo, che permette di capire il suo umorismo e la critica verso la società. Capitava spesso che egli regalasse la sua arte, disegni creati ad hoc, autografi, spille, gadget con le sue opere: queste operazioni non erano egoistico marketing, ma, al contrario, un modo per dare la possibilità a tutti di avvicinarsi all’arte stessa e incrementare così la sensibilità artistica del pubblico. In questo dunque è molto simile al tentativo della street art: un’arte per tutti, non solo per chi se lo può permettere.
Per Haring è dunque essenziale il feedback del pubblico, la possibilità che vi sia un effetto conseguente, una reazione agli stimoli che egli invia, e cerca sempre di intrattenere con le persone un’interazione profonda. È interessante notare, sotto questo aspetto, la grande attenzione che ha anche per i bambini: la loro innocenza e sincerità rappresentano un rifugio contro il cinismo, ed egli ritrova dei momenti di purezza quando dipinge con e per loro.
More info:
K. Haring, Diari, Mondadori, Milano, 2001.
R. Barilli, Haring, inserto di Art Dossier.
R. Barilli, Haring, inserto di Art Dossier.
K. Haring. L'ultima intervista, Abscondita, 2010.
sabato 12 marzo 2011
Segnalazione 2
Fino al 23 marzo è possibile vedere a Milano la mostra personale di Mr Wany, “Uno di Loro”; alla sede XL Combines.
Vengono presentate 21 opere dello street artist italiano, nelle quali re-interpreta personalmente opere di grandi artisti, tra cui Van Gogh, Caravaggio, Picasso, Modigliani, Dalí, Klimt, Keith Haring, Frida Kahlo, Murakami, Banksy.
More info: http://www.combines.it/blog/
Vengono presentate 21 opere dello street artist italiano, nelle quali re-interpreta personalmente opere di grandi artisti, tra cui Van Gogh, Caravaggio, Picasso, Modigliani, Dalí, Klimt, Keith Haring, Frida Kahlo, Murakami, Banksy.
More info: http://www.combines.it/blog/
Film
I due film cult che meglio permettono di respirare l'atmosfera degli inizi sono “Style Wars”[1] di Tony Silver e Henry Chalfant, del 1983, e “Wild Style”[2], diretto da Charlie Ahearn nel 1983.
Il primo è un documentario che presenta la scena newyorchese degli anni ’70 ed ’80, il mondo della strada, dell’Hip hop, della breakdance e dei graffiti (si possono vedere luoghi “sacri” come la writer’s bench, l’azione nella subway, la battaglia tra “graffiti artists” e “graffiti bombers”, moltissime riprese di treni dipinti, fino a riprese originali delle prime mostre ufficiali), tramite interviste a protagonisti quali Dondi, Lee, Seen, Iz the Wiz, Daze, Kase 2, Zephyr, Dust, Crash, Tracy 168, il gruppo United Artists, nonché ad alcuni
dirigenti della MTA, al sindaco Koch e a cittadini (si percepisce perfettamente la lotta tra
le due “fazioni”: autorità e gente comune da una parte, writer dall’altra, messi a confronto in un virtuale dialogo); il nome si ispira a un omonimo pezzo top-to-bottom di NOC e si riferisce anche alle battaglie di stile intraprese nel campo dei graffiti o della danza per determinare i king.
Nella seconda pellicola il protagonista Raymond, nome d’arte Zoro (interpretato dal writer Lee Quinones), si muove in un ambiente dove writing, rap e breakdance sono a stretto contatto, cercando di uscire dal ghetto tramite il suo talento artistico. Anche in questo caso troviamo immagini dei treni dipinti e degli edifici ridotti in macerie nel Bronx, le lotte di stile tra breaker e djs, con parti molto lunghe dedicate al mondo musicale, il punto di vista della “gente comune” contraria ai graffiti (incarnato dal fratello di Zoro), e un primo interessamento all’opera dei writer da parte di collezionisti, gallerie e giornalisti. Entrambe le pellicole aiutano a creare un immaginario, a fondare il movimento Hip-hop e sono considerate essenziali per conoscere il mondo dei graffiti old-school, anche oltreoceano.
Il primo è un documentario che presenta la scena newyorchese degli anni ’70 ed ’80, il mondo della strada, dell’Hip hop, della breakdance e dei graffiti (si possono vedere luoghi “sacri” come la writer’s bench, l’azione nella subway, la battaglia tra “graffiti artists” e “graffiti bombers”, moltissime riprese di treni dipinti, fino a riprese originali delle prime mostre ufficiali), tramite interviste a protagonisti quali Dondi, Lee, Seen, Iz the Wiz, Daze, Kase 2, Zephyr, Dust, Crash, Tracy 168, il gruppo United Artists, nonché ad alcuni
dirigenti della MTA, al sindaco Koch e a cittadini (si percepisce perfettamente la lotta tra
le due “fazioni”: autorità e gente comune da una parte, writer dall’altra, messi a confronto in un virtuale dialogo); il nome si ispira a un omonimo pezzo top-to-bottom di NOC e si riferisce anche alle battaglie di stile intraprese nel campo dei graffiti o della danza per determinare i king.
Nella seconda pellicola il protagonista Raymond, nome d’arte Zoro (interpretato dal writer Lee Quinones), si muove in un ambiente dove writing, rap e breakdance sono a stretto contatto, cercando di uscire dal ghetto tramite il suo talento artistico. Anche in questo caso troviamo immagini dei treni dipinti e degli edifici ridotti in macerie nel Bronx, le lotte di stile tra breaker e djs, con parti molto lunghe dedicate al mondo musicale, il punto di vista della “gente comune” contraria ai graffiti (incarnato dal fratello di Zoro), e un primo interessamento all’opera dei writer da parte di collezionisti, gallerie e giornalisti. Entrambe le pellicole aiutano a creare un immaginario, a fondare il movimento Hip-hop e sono considerate essenziali per conoscere il mondo dei graffiti old-school, anche oltreoceano.
Il film Bomb it[3], del 2008, diretto da Jon Reiss, raccoglie interviste ad alcuni tra i più famosi writer dei primi anni ’70 (tra cui lady Pink, Zephyr, Taki 183, Tracy 168, Cornbread, Rammellzee) e street artist (Blek le rat, Shepard Fairey); mostra i primi treni dipinti, artisti della scena internazionale contemporanea (è stato girato in diverse città del mondo: Los Angeles, New York, Philadelphia, San Francisco, Tijuana, Londra, Parigi, Amsterdam, Barcellona, Amburgo, Berlino, Cape Town, San Paolo, Tokyo), affronta anche problemi come la percezione della città da parte dei graffitisti.
Alcuni film sono dedicati alla vita di Basquiat, come ad esempio Basquiat di Julian Schnabel, del 1996; Downtown 81, (o New York Beat Movie), diretto da Edo Bertoglio nel 1981 e con protagonista lo stesso pittore, che vaga per Downtown cercando qualcuno interessato ai suoi quadri, scrivendo messaggi ironici e di denuncia sociale sui muri della città, incontrando persone, partecipando a feste, dipingendo; il documentario The radiant child, uscito nel 2010, diretto da Tamra Davis, amica del pittore.
La figura di Haring è invece trattata nel documentario The Universe of Keith Haring del 2007, di Christina Clausen, attraverso interviste audio e video da lui stesso rilasciate in vita e attraverso le parole di amici e familiari.
Oltre ai lungometraggi più conosciuti, vi sono numerosi video o documentari di piccola produzione che hanno attinenza con il writing: tra questi si può citare “Nero Inferno” (dal nome dell’inchiostro indelebile utilizzato talvolta per scrivere), prodotto da Giacomo Mineo nel 2002, dedicato alla scena milanese e in particolare alla nascita ed evoluzione dei graffiti sulle Ferrovie Nord, con l’intervista a cinque writer (tra cui Dumbo)-il video si può trovare suddiviso in parti su Youtube: http://www.youtube.com/watch?v=E-Tf4Ja9v2g.
Segnalate altri film degni di nota, commentando!
venerdì 11 marzo 2011
Segnalazione
Alla galleria Officne dell'immagine di Milano, è stata inaugurata ieri la personale di Bros: "Squaraus. Colore dal corpo".
Ieri sera si è svolta una performance "preventiva"dell'artista, che si è posto l'obiettivo di indagare ironicamente il vernissage di una mostra, reinterpretando a suo modo i tipici personaggi che si possono trovare alle inaugurazioni (alcuni "attori" recitano queste parti, con costumi, oggetti abiti realizzati dalll'artista).
Dal 15 marzo al 30 aprile è possibilie visitare la mostra.
Per maggiori info: http://www.officinedellimmagine.it/
Ieri sera si è svolta una performance "preventiva"dell'artista, che si è posto l'obiettivo di indagare ironicamente il vernissage di una mostra, reinterpretando a suo modo i tipici personaggi che si possono trovare alle inaugurazioni (alcuni "attori" recitano queste parti, con costumi, oggetti abiti realizzati dalll'artista).
Dal 15 marzo al 30 aprile è possibilie visitare la mostra.
Per maggiori info: http://www.officinedellimmagine.it/
Graffiti&media
A partire dalla comparsa del writing, in particolar modo negli anni ’70 in America, inizia l’interesse al movimento da parte dei media. Libri, film, in seguito magazine e in tempi ancora più recenti siti internet, si concentrano sul fenomeno, permettendo così di conoscerlo e aiutarne la diffusione in tutto il mondo. Ogni supporto risulta fondamentale, inoltre, per preservare la memoria, non solo dei luoghi o dei volti dei primi protagonisti, ma anche delle opere, che spesso vanno incontro ad una totale distruzione per cause differenti (tra cui il deterioramento, l’erosione degli agenti atmosferici, o la cancellazione volontaria poiché illegali).
In particolare i primi volumi considerati “pietre miliari” del mondo dei graffiti, pubblicati tra gli anni ’70 e ’80, sono: “Graffiti Kings”[1] di Jack Stewart, che raccoglie il meglio di immagini anche inedite e interviste, cronaca e critica; “Subway Art”[2] di Henry Chalfant e Martha Cooper, con foto dei primi vagoni della metropolitana colpiti a New York; “Style: writing from the underground”[3], focalizzato sulla nascita del movimento e scritto con il contributo di numerosi writer della prima ora; “Spraycan Art”[4] di Henry Chalfant e James Prigoff, che contribuisce all’espansione della conoscenza dei graffiti in tutto il globo; “The birth of graffiti” e “The faith of graffiti”[5] con immagini di alta qualità del fotografo Jon Naar, realizzati negli anni ’70 e da poco riediti. Oggi lo sguardo è molto ampio, vi sono numerosissime pubblicazioni sugli argomenti più disparati, nonché monografie o cataloghi sugli artisti più in vista del momento: tra questi si possono ricordare il recente “All city writers”[6] di Andrea Caputo con interviste a diversi writer, che ripercorre la storia dalle origini ad oggi; i libri pubblicati da Banksy sulle sue opere; le monografie di alcuni artisti, tra cui Dumbo, Ivan, Pao e Bros.
Next: film sui graffiti
[1] J. Stewart, Graffiti Kings, Abrams, 2009.
[2] H. Chalfant, M. Cooper, Subway art, Holt paperbacks, 1988.
[3] A. Rossomando (a cura di), Style: writing from the underground. (R)evolutions of aerosol linguistics, Stampa alternativa, Viterbo, 2004.
[4] H. Chalfant, J. Pigoff, Spraycan art, Thames&Hudson, 1987.
[5] N. Mailer, J. Naar, The faith of graffiti, HarperCollins , New York , 2009.
[6] A. Caputo, All city writers, Kitchen 93, 2009.
mercoledì 9 marzo 2011
Le diverse forme d'espressione del writing
Le forme d’espressione maggiormente riconoscibili del writing sono:
-Throw-up: primo gradino nell'evoluzione di una tag, generalmente realizzato con lo spray, con lettere bubble, utilizzando un colore per il corpo della lettera (es. argento) e un tono più scuro per il contorno: è di solito eseguito molto velocemente e a volte piuttosto sommariamente. In questo caso si punta soprattutto sulla quantità, quindi su un maggior numero di luoghi colpiti, piuttosto che sulla qualità dell’esecuzione. I primi throw-ups nascono a New York nella metà degli anni ’70 con IN-1 e THE TOP CREW e sono uno dei mezzi tramite cui riconoscere un bravo writer: lo stile dev’esser originale seppur immediato, senza possibilità di correzioni.
-Masterpiece, ossia letteralmente “capolavoro”, realizzato in dimensioni più grandi e con un maggior numero di colori ed effetti speciali (clouds, puppets…). Il primo Masterpiece viene creato da Super Kool.Vi sono alcuni tipi particolari di Masterpieces, tra cui:
-Top-to-bottom (realizzato su un treno, copre tutta l’altezza della carrozza) e
-End-to-end (simile al tipo precedente, però ricopre la carrozza interamente nel senso della lunghezza).
-Whole car è un Masterpiece che ricopre un'intera carrozza, incluse le finestre. Spesso viene realizzato non da un singolo writer, ma da un’intera crew, essendo necessari maggior tempo e forza lavoro: ognuno ha in questo caso il suo ruolo (chi realizza i contorni, chi fa gli sfondi, chi le rifiniture, generalmente secondo una sorta di gerarchia: i king le parti più difficili, i toys quelle più semplici). Di grado minore è invece il cosiddetto Window Down End to end (WIDEE) che include tutta la carrozza del treno, però solo al di sotto delle finestre.
-Whole train, un intero treno dipinto con un unico soggetto, massimo dell'espressione writing.
Quest’ ultimo è una vera impresa da realizzare, poiché prevede il coinvolgimento di numerosi writer e moltissimo uso di colore, nonché un attento studio preliminare. Tra i più famosi si ricordano: The Freedom train, realizzato nel 1976, la notte precedente l’anniversario della rivoluzione americana del 1766 da CAINE1, MAD 103 e FLAME ONE, e The Christmas Train eseguito dalla crew Fabolous Five nel Natale 1977.
martedì 8 marzo 2011
Masterpieces by Pao
Ecco un esempio delle opere di Pao. Per la serie completa, si può visitare il suo sito www.paopao.it
nella sezione Arte; Opere e Street art. Enjoy it!
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venerdì 4 marzo 2011
Interviewing Pao
Mi parli della tua formazione e come è iniziata la tua avventura nella street art?
Ho sempre disegnato per piacere, ma non mi sarei mai immaginato di finire a fare ciò che faccio. Dopo il liceo decido di fare l’università e in contemporanea un corso di tecnico del suono, poiché suonavo, ma non avevo un talento tale da sfondare come musicista! Parto per Londra ma mi richiamano in Italia per il servizio civile: mi mandano da Franca Rame e Dario Fo. All’inizio mi occupo di digitalizzare il loro archivio, poi, dati i miei studi, inizio ad aiutare il loro fonico in qualche spettacolo. In seguito, finito il servizio civile passo alla mansione di macchinista, che non avevo mai fatto. Quella è stata la mia scuola d’arte: il teatro è un’arte globale e completa (recitazione ma anche scenografia, pittura, musica). Nel frattempo inizio a dipingere per strada, per passione. L’idea dei pinguini è nata per associazione d’idee e volevo assolutamente metterla in atto. All’inizio non pensavo di continuare, ma viste le reazioni positive della gente, ho capito che aveva senso andar avanti; iniziano anche ad arrivarmi le prime commissioni (scenografie o murales per le serrande dei negozi) e parallelamente continuo in teatro (lavoro alla Scala e agli Arcimboldi nei laboratori di scenografia). Questo lavoro teatrale è stato molto importante per una visione “dal basso”, a cui ho unito l’arte pittorica: ho un approccio del fare, ossia imparare a fare le cose facendole. Inizio in quel periodo anche a partecipare a qualche mostra indipendente, e studio come realizzare siti internet. Man mano le cose si sono sviluppate, e oggi la parte pittorica ha preso il sopravvento sugli altri tipi di lavori!
Quali sono le tue fonti, spunti, modelli; lo studio della storia dell’arte ha avuto importanza sulla tua opera ed evoluzione?
Credo che per un artista sia fondamentale lo studio della storia dell’arte, conoscere il più possibile per ampliare le proprie esperienze. Da piccolo ho visto una rivista con lavori di Keith Haring che mi hanno molto colpito, poi la pop art, i graffiti; oggi mi interessano i surrealisti (Dalì, Magritte, Escher) e il surrealismo pop (Murakami, Ron English), mi guardo molto intorno comunque!
Quale è stata la prima mostra a cui hai partecipato?
Una mostra fotografica dei miei lavori stradali all’associazione Sud, a Milano. La prima mostra in cui ho avuto un ruolo importante è stata, nel 2002, al Leoncavallo: Happening Underground, con artisti europei ed americani. L’occasione è stata fondamentale perché ho conosciuto molte persone di Milano (con cui è nata un’amicizia) e ho potuto confrontarmi con un panorama molto ampio di esperienze.
Quali sono le maggiori differenze, secondo te, tra l’attività in strada e quella in galleria? In alcuni casi si parla di “writers venduti” perché si perde il rapporto originario con la strada, sei d’accordo?
Io non mi sono mai considerato “writer”: dipingevo in strada, ma ero già particolare, ho sempre scelto supporti strani, non solo muri. Come prima sentivo la necessità di dipingere in strada perché avevo un certo tipo di linguaggio ed era il luogo giusto in quel momento, crescendo ho visto l’ampliarsi degli orizzonti, e dunque la galleria. Credo che sia sbagliato quando, entrando in galleria, si ripropone la stessa cosa che si fa in strada: sono due ambienti diversi e bisogna usare due linguaggi diversi. La strada ha un suo grandissimo fascino, ed è un luogo di crescita fondamentale, dove puoi comunicare con tutta la comunità, che ha le sue regole (tra cui la legge, che considera che se non hai l’autorizzazione sei un vandalo): non l’ho rinnegata né mi sono precluso questa via. In galleria posso fare un altro tipo di ricerca, e presento lavori differenti, perché ciò che funziona in strada non funziona in galleria e viceversa. Se trovo un angolo che vale la pena abbellire, non per vandalismo ma per migliorare la città, posso sempre agire!
Ti senti limitato dalle commissioni o dalle scelte dei curatori?
Ho sempre avuto la massima libertà: la fortuna di essere un artista che viene dalla strada mi dà la possibilità di costruirmi una mia identità forte, non sono schiavo del gallerista. Inoltre, essendo in grado di fare moltissimi lavori diversi, posso anche dire “No, grazie”, e questo è molto importante! Con i galleristi con cui ho collaborato c’è stato comunque un ottimo rapporto, il confronto è bene accetto, si riflette insieme e non c’è mai nessuna imposizione.
L’aspetto illegale del lavorare in strada serve per avere maggior adrenalina ed energia nell’opera oppure è una componente trascurabile?
Il brivido dell’illegale ha un suo fascino, ma ci sono altre cose che mi emozionano maggiormente. Preferisco concentrarmi sul messaggio e su ciò che comunico, o lavorare con calma piuttosto che di fretta. Non avendo il background nel mondo del writing, per me è più importante abbellire la città e dialogare con il pubblico che non il fattore illegale.
In galleria il pubblico è più limitato o è comunque un modo efficace per dialogare?
Per me l’arte pubblica è più importante, perché è davvero arte per tutti. In galleria qualcuno deve venire a vederti! Però su tela ho intrapreso ricerche che non sarebbero apprezzate allo stesso modo in strada.
Qual è la tua idea sul vandalismo?
Spesso si parla di tag come atti vandalici; io le considero inquinamento visivo (al pari della pubblicità). Ci dev’essere rispetto per l’ambiente: se dipingi devi cercare di dipingere qualcosa per tutti, non solo per te e i tuoi amici (la tag rappresenta un modo per dire “io esisto, sono stato qui”, come una sorta di marcatura del territorio) e devi fare qualcosa che vada verso un’evoluzione. Non apprezzo le tag perché non ci trovo nulla di artistico, ma non le demonizzo perché non sono il male assoluto (fastidiosa nello stesso modo è la pubblicità, non perché è legale, automaticamente è bella). Certo i ragazzi che fanno tag potrebbero anche fare qualcosa di migliore!
Come ti sembra oggi il panorama contemporaneo della street art?
C’è un gruppo di artisti, con cui sono cresciuto, che hanno contribuito al fenomeno in Italia (Blu, Ericailcane, Ozmo, Bros), e che portano avanti un percorso che a volte si sposta anche in galleria. Secondo me sono interessanti soprattutto coloro che non si limitano solo alla strada, ma sono artisti completi, che comunicano un messaggio che trascende il medium usato (puoi usare il muro, la tela, il video). Dal punto di vista internazionale, Banksy ha dimostrato di essere un vero artista, non si limita solo al mezzo ma il messaggio trascende l’opera. In Italia, la mostra “Street art sweet art” del 2007 al PAC è stata un buon trampolino di lancio per molti. Quel momento è stato, secondo me, il massimo della maturità, ma, nello stesso tempo, lo sdoganamento del fenomeno ha contribuito a indebolire il fattore di contestazione, di rivoluzione che la street art ha in sé. Si perde così l’aura di ribellione, entrando in galleria, e il movimento scema un po’: da lì in poi ho visto poche cose davvero interessanti e originali e si è perso il senso del gruppo, si lavora più individualmente.
Cosa si può fare per la street art oggi?
Bisogna incentivare ciò che già c’è, usando le energie creative per migliorare le nostre città e renderle più vivibili; conceder spazi non solo agli artisti già affermati ma a tutti (un esempio è il cavalcavia della Bovisa, trasformato in un’opera d’arte da artisti e writer, migliorando così lo spazio).
Qual è la tua opinione sul brutto della città (le tue opere servono a migliorare zone degradate, grigie e tristi?)
Credo che chi fa tag non lo pensi. Personalmente, ho sempre cercato di trovare angoli dimenticati dove far fiorire un po’ di colore e poesia.
Qual è la reazione degli spettatori alle tue opere?
Generalmente positiva. Ci sono stati a volte scontri civili con alcuni, poiché mi contestano il fattore illegale e non gli interessa se “sono Michelangelo e faccio una cosa bellissima, se non ho l’autorizzazione non posso farlo”. Questo non lo condivido, perché in alcuni casi si può decidere con la propria testa e “bypassare” la legge: se faccio qualcosa di bello per la città va fatto!
Quanto è importante il contesto nella realizzazione delle tue opere in strada e in galleria? In base a quali criteri scegli dove ambientare le sue opere? Nell’ambiente asettico della galleria trovi maggiori difficoltà?
Per strada devi per forza dialogare con il contesto dove dipingi, lo trovo stimolante e mi aiuta molto: dipingo rispettando lo spazio, ed è lo spazio stesso che mi comunica cosa fare. Sulla tela hai massima libertà ma anche maggiori difficoltà, per capire cosa fare; lo stesso in galleria, dove le tue opere sono anche analizzate molto più attentamente. In strada è più importante il messaggio che non la tecnica, in galleria la forma è fondamentale, insieme all’istinto devi usare la razionalità. Quando raggiungi un livello tecnico adeguato, tramite la tela, puoi indagare percorsi più complicati, che non faresti in strada: ad esempio i lavori sui concavi sono apprezzati in galleria perché hai più calma di vederli, in strada passerebbero inosservati; viceversa i murales con i loro colori forti, in galleria perdono un po’il loro fascino. La galleria inoltre mi permette di sviluppare discorsi più profondi.
Nel contesto urbano, ad esempio, nel caso dei progetti Pao Cola e Campbell, realizzati su bagni pubblici, mi è venuta l’idea guardando gli oggetti stessi. La forma cilindrica mi ha ispirato la lattina, e la scelta più ovvia era la lattina Campbell, quindi un omaggio ad Andy Warhol. I graffiti secondo me sono molto legati alla pop art, sono suoi figli illegittimi!
Come ti rapporti con il design? (Lo studio Paopao si occupa anche di design)
Parto dall’approccio “arte per tutti”, con le opere in strada. Il design dev’essere arte per le masse, come lo concepiva Munari, bellezza estetica ma anche funzionale. Partendo dai panettoni in strada, quindi da una forma, dialogo da sempre con il design, anche se non mi sento un vero designer, poiché lo faccio con approccio maggiormente artistico.
I galleristi sono sensibili all’arte di strada oggi?
Alcune gallerie sono interessate a queste nuove forme: non solo street art, ma anche poster art o surrealismo pop, tra cui a volte è difficile distinguere, è una realtà molto liquida.
Mi parli dello studio Paopao?
Lo studio si occupa di sviluppare progetti su commissione da parte di aziende o agenzie pubblicitarie, che si interessano al mio stile. Sono lavori di interior design o legati al mondo pubblicitario: ad esempio ho dipinto un tram a Milano con i miei personaggi per un’azienda di abbigliamento.
Come vedi il futuro della street art? Ci saranno più spazi dedicati o si perderà l’interesse per questa espressione? Gli artisti si orienteranno maggiormente verso l’ingresso nel circuito ufficiale della gallerie o continueranno ad avere un legame forte con la strada?
La realtà sarà multi sfaccettata. Per molti anni alcuni dipingeranno in strada, anche per farsi notare e comunicare a tutti, se non troveranno altri sbocchi più ufficiali. Oggi stanno sparendo anche i centri sociali, che rappresentavano luoghi di scambio e crescita importanti. Alcuni artisti cresceranno, faranno opere pubbliche su muro, altri affiancheranno discorsi pittorici e l’ambiente della galleria, altri entrambe le cose in parallelo. Gli artisti validi continueranno ad essere importanti, e ci sarà una nicchia di mercato per loro. Finita l’abbuffata, uscirà la qualità, le cose meno interessanti verranno accantonate.
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