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mercoledì 6 aprile 2011

Basquiat

The beginning
Jean-Michelle Basquiat nasce nel 1960 a Brooklyn, da padre haitiano e madre portoricana. I suoi primi passi, nel campo dell’arte, sono disegni d’infanzia ispirati a cartoni animati e fumetti e la visita ai musei con la madre; nel 1977, con l’amico Al Diaz, inizia a scrivere sui muri versi e aforismi oscuri e sincopati di protesta o dichiarazione esistenziale, fortemente spiazzanti, firmando come SAMO (Same Old Shit), tag che verrà abbandonata l’anno successivo. La sua ispirazione è tratta dal mondo contemporaneo, di cui riprende la stratificazione, la polimatericità, la pluralità di temi e le variazioni stilistiche, e dai libri (tra questi, Anatomia di H. Gray, letto durante una convalescenza d’infanzia, I sotterranei di Kerouac, La scimmia sulla schiena di Burroughs). Per i due anni successivi, alterna l’attività di musicista a quella di artista: continua a dipingere e realizza cartoline, t-shirt, collage sui temi della violenza, del crimine, della politica, sulla questione dell’identità; nel 1979 incontra Haring e l’anno successivo espone alla mostra collettiva “Times Square Show”, è inoltre protagonista del film documentario “Downtown 81” di Glenn O’Brien (uscito solo nel 2001); nel 1981 espone insieme ad altri graffitisti (Rammelzee, Lady Pink, Phase II, Crash) alla mostra “Beyond Worlds” e l’anno successivo ad un evento simile: è l’inizio dello sfruttamento commerciale del graffitismo.
The fame
In questo periodo inizia dunque la sua fortuna nel circuito ufficiale: in particolare si interessa alle sue creazioni la gallerista Annina Nosei che ospita il suo studio nei sotterranei della galleria stessa; nel 1982 si tiene la prima personale con grande successo di critica e vendite. Questa gallerista sarà fondamentale per Basquiat, facendone un astro nascente, presentandolo a numerosi collezionisti e permettendo alle sue opere di arrivare a quotazioni molto alte.
Il biennio 1981-1982 viene indicato come il primo periodo della sua produzione di dipinti su tela: i soggetti sono in particolare scheletri, particolari anatomici e volti simili a maschere, che comunicano la sua ossessione per la morte; ma anche poliziotti, edifici, giochi di bambini, temi sociali (critica contro il consumismo, ingiustizia sociale e razzismo), immagini tratte dal mondo quotidiano, dal settore della comunicazione, riferimenti a culture tradizionali, affiancati da frasi enigmatiche con un linguaggio criptico, oscuro, simbolico, anticomunicativo ma seducente. La scrittura è molto presente nelle opere di Basquiat, che usa la parola come segno, la muta, ci gioca o semplicemente la inserisce, talvolta cancellando le parole stesse per attirare lo spettatore e spingerlo a riflettere sul senso. 
 Le fonti di Basquiat sono numerose e differenti: si ispira a Dubuffet e all’Art Brut, a Picasso, a Klee, a De Kooning, all’espressionismo americano e all’Action Painting di Pollock, mescolando il tutto nelle sue opere, prive di prospettiva, caratterizzate da frontalità, schematizzazione delle figure, grado minimo di rifinitura delle tele, presenza di “sbagli” o sgocciolamenti.
Andy
Dopo la rottura con Annina Nosei alla fine del 1982, il suo agente sarà Bruno Bishofberger, che lo presenta ad Andy Warhol (in cui Basquiat si era già imbattuto, avendo cercato, nei primi tempi della sua carriera, di vendergli una cartolina da lui realizzata, in un ristorante di Soho). Con quest’ultimo, e con Francesco Clemente, a partire dal 1984, inizia un ciclo di “Collaborations”; la Factory di Warhol sarà un luogo fondamentale di attività artistica, anche se negli ultimi tempi se ne distaccherà cercando una maggior autonomia dal re della Pop art. Inoltre in questi anni si può distinguere una sorta di “secondo periodo” nella produzione di Basquiat, costituito da opere su più pannelli, con attenzione all’aspetto materiale e coloristico della vernice (combinando acrilico e pittura ad olio o colori metallici come oro, rame e argento), con superfici dense di colore e scritte: i soggetti più indagati sono, oltre alle ingiustizie e ai soprusi subiti dalle persone di colore nel corso della storia, figure particolarmente significative della storia “black” haitiana e nordamericana, una sorta di richiamo all’identità nera (sportivi, soprattutto giocatori di baseball o boxeur, e musicisti jazz o blues, assunti come eroi). Nel 1983 viene ospitato in un’istituzione ufficiale per la prima volta: partecipa ad una mostra al Whitney Museum con Haring e altri artisti. Basquiat è sempre più amato da collezionisti e mercato, in un’ascesa fulminea ma di breve durata: in soli 8 anni riesce a creare una quantità impressionante di opere, introducendo un nuovo approccio alla figurazione e all’espressività. Nel 1985 il “New York Times” gli dedica l’articolo “New art, new money: the marketing of an american artist”, in cui si evidenzia l’importanza dei media e del marketing nel creare dei miti e si tirano le somme della sua produzione: l’articolo segna il culmine della sua importanza ma anche l’inizio della discesa, dopo anni ricchi di fama, successo incontrollato, ma anche di problemi causati dall’uso di droga, dalla paura della solitudine e di veder svanire la propria notorietà.
The end
Gli anni 1986-1988 segneranno la fase finale della carriera di Basquiat, il quale svilupperà un nuovo tipo di figurazione, espandendo le sue fonti, simboli e contenuti: in particolare si può notare come le opere siano caratterizzate da un’alternanza tra vuoto e abbondanza di segni, una sorta di horror vacui. A partire dal 1986, inoltre, sarà percepibile un minor entusiasmo per la sua opera da parte di mercato, critica e collezionismo, che non faranno altro che peggiorare la dipendenza dalla droga e la sua sregolatezza, fino a portarlo alla morte per overdose, nel 1988.

More info:

G. Mercurio, Basquiat, Art dossier n. 227, Giunti, 2006.
http://mam.paris.fr/en/node/243 sulla mostra appena conclusa a Parigi

mercoledì 16 marzo 2011

Keith Haring

Breve biografia

Keith Haring nasce a Reading in Pennsylvania nel 1958; a Kuntztown compie i primi studi nel campo dell’arte, conseguendo il diploma nel 1976 e frequentando successivamente per un anno la Ivy School of Professional Art di Pittsburgh. Qui allestisce anche la sua prima mostra di disegni e decide di dedicarsi definitivamente all’arte, studiando da autodidatta artisti come Klee, Tobey, Picasso (della cui sfrenata libertà formale si avvale), Léger (di cui riprende il segno nero di contorno delle figure tracciato su aree di colore), Dubuffet, Matisse (colpito come lui dai colori, e di cui reinterpreta i papiers découpés), Pollock (di cui rielabora l’istintualità del gesto), Warhol e Lichtenstein (di cui rivive l’esperienza Pop); è molto importante anche la visita ad alcune retrospettive, tra cui quella di Rothko e Clifford Still, e successivamente una sorta di competizione con artisti a lui contemporanei quali Stella e Alechinsky. Le sue influenze si possono ricercare, però, anche in altri ambiti: “arte egizia/ geroglifici/ pittogrammi/ simbolismo. Parole come figure/ immagini”, “immagini calligrafiche, forme geroglifiche, strutture primarie che sono comuni a tutti i popoli di tutti i tempi e, perciò, interessanti anche per noi".
 Nel 1978 si reca a New York per seguire i corsi alla School of Visual Art; nella Grande Mela Haring viene a contatto con il writing e inizia, così, a partire dal 1980, a riempire con i suoi disegni in gesso bianco i riquadri coperti da un foglio nero, in attesa di ospitare i manifesti pubblicitari nella metropolitana, primi esempi di opere accostabili alla street art.
Nel 1980 partecipa al “Times Square Show” insieme ad altri graffitisti, ma contemporaneamente rimane legato ad un concetto più tradizionale di arte.

Haring e l'arte

A proposito della sua vicinanza al mondo dei graffiti, lo stesso Haring dichiara: “I graffitisti di periferia mi hanno influenzato con l’idea di un grafismo forte, il desiderio di uscire dai luoghi culturali per intervenire sul marciapiede” e “I graffiti erano la cosa più meravigliosa che avessi mai visto […] Questi ragazzi, che erano ovviamente molto giovani e venivano dalla strada, possedevano un’incredibile maestria che mi lasciava senza fiato, al punto che a volte non salivo nemmeno sul primo treno che passava. Restavo seduto e aspettavo di vedere cosa c’era sul treno successivo”. Altre caratteristiche del suo lavoro che lo avvicinano alla filosofia della street art si possono ritrovare nell’attenzione verso il contesto in cui dipinge e nell’importanza affidata al percorso evolutivo.
Con uno sguardo ampio ed aperto alle diverse sperimentazioni, Haring non viene solo affascinato dai graffiti, ma indaga anche, oltre alla pittura e al supporto cartaceo, con diversi tipi di inchiostri e carta, differenti tecniche e materiali, come tele viniliche, carta catramata, metalli, oggetti di recupero, pelli, terracotta, sculture; dipinge con un pennello in entrambe le mani, direttamente con le mani, sul corpo umano (ad esempio su Grace Jones nel 1984 a New York, fotografata da Robert Mapplethorpe). Inoltre sperimenta anche nell’ambito della fotografia e del video.
Nel 1981 entra nella galleria di Tony Shafrazy, che gli permetterà di essere riconosciuto come artista a livello internazionale: nel 1982 è invitato a Documenta 7 a Kassel, l’anno successivo alla Biennale del Whitney Museum di New York e di San Paolo in Brasile, nel 1984 alla Biennale di Venezia. Inoltre è chiamato per diverse commissioni in giro per l’Europa: murali, spesso di messaggio sociale, vetrine, decorazioni (si possono ricordare, a titolo d’esempio in ambiti completamente diversi: la decorazione del negozio di Fiorucci a Milano nel 1983, il murale “Tuttomondo” sulle pareti esterne del convento di Sant’Antonio a Pisa, la decorazione di una parte del muro di Berlino con bambini che si tengono per mano); inoltre tiene laboratori e workshop per bambini in scuole e musei di America ed Europa. Il suo stile in questi anni si evolve, ma rimane legato ad alcuni concetti essenziali: svuotare, schematizzare, ridurre al contorno le figure, arricchirle al loro interno da segni grafici fortemente decorativi, che mirano a riempire i vuoti. Anche la componente cromatica viene trattata con lo stesso intento di riduzione: poche combinazioni di campiture di colori puri accostati, mai mescolati. Tra i soggetti indagati, sovrapposti e incrociati tra loro in grovigli inestricabili, spesso, accanto a figure umane, compaiono temi d’attualità (la minaccia dell’annientamento nucleare, l’oscenità dell’apartheid), immagini di fantascienza, la tecnologia (televisori, computer), in forma negativa di mostri e il tema della morte e dell’aids, in seguito alla scomparsa o alla malattia di numerosi suoi amici, e poi alla sua, diagnosticatagli nel 1988 (in questo ambito, nel 1988, fonda la Keith Haring Foundation per “fornire fondi e immagini alle organizzazioni per la lotta contro l’AIDS e in favore dell’infanzia e far conoscere a un pubblico più ampio le opere di Haring”). Tramite la sua arte, egli esprime le sue paure e cerca di affrontarle, spingendo però, contemporaneamente, anche gli altri a riflettere su temi importanti. Altri soggetti, più divertenti e spensierati sono, invece, gli animali, i temi giocosi (il bambino radiante e il cane che gattonano), personaggi tratti dai fumetti (ad esempio la faccia di Topolino), figure umane che rappresentano ballerini di break dance ed electric boogie nelle loro mosse più famose.

Pop Shop

Un mezzo efficace per la diffusione delle sue opere è la creazione di negozi nei quali è possibile comprare gadget (magliette, spille, giochi, magneti, poster con i suoi lavori) e vederlo personalmente all’opera, i cosiddetti “Pop shop”: il primo viene aperto a New York nel 1986, il secondo a Tokio nel 1988. Questi spazi, estensioni del suo lavoro, permettono alla gente di entrare maggiormente in contatto con la sua arte (potendola anche acquistare in riproduzioni economiche), e a lui di avvicinare il pubblico, a cui il suo operato in primo luogo si rivolge.  Le sue opere hanno ottenuto un successo internazionale poiché Haring, nonostante la fama e la notorietà, cercava sempre di realizzare opere per la gente, in grado di attirare la loro attenzione e di favorirne la lettura, da un livello più semplice e superficiale, con figure simili a fumetti, fino ad uno più profondo, che permette di capire il suo umorismo e la critica verso la società. Capitava spesso che egli regalasse la sua arte, disegni creati ad hoc, autografi, spille, gadget con le sue opere: queste operazioni non erano egoistico marketing, ma, al contrario, un modo per dare la possibilità a tutti di avvicinarsi all’arte stessa e incrementare così la sensibilità artistica del pubblico. In questo dunque è molto simile al tentativo della street art: un’arte per tutti, non solo per chi se lo può permettere.
Per Haring è dunque essenziale il feedback del pubblico, la possibilità che vi sia un effetto conseguente, una reazione agli stimoli che egli invia, e cerca sempre di intrattenere con le persone un’interazione profonda. È interessante notare, sotto questo aspetto, la grande attenzione che ha anche per i bambini: la loro innocenza e sincerità rappresentano un rifugio contro il cinismo, ed egli ritrova dei momenti di purezza quando dipinge con e per loro.

More info:
 K. Haring, Diari, Mondadori, Milano, 2001.
R. Barilli, Haring, inserto di Art Dossier.
K. Haring. L'ultima intervista, Abscondita, 2010.